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Una recente sentenza del Tribunale Superiore di Giustizia della Catalogna (TSJ Cat 2594/2025) conferma che una lavoratrice incinta può essere licenziata se smette di adempiere ai propri obblighi, anche in regime di telelavoro. Il tribunale ha dichiarato legittimo il licenziamento di una dipendente che è rimasta per oltre un mese senza collegarsi alla sua postazione mentre lavorava da casa.

Il contesto del caso
La lavoratrice era stata assunta per fornire servizi di assistenza telefonica da remoto. Senza preavviso né giustificazione, ha smesso di collegarsi ai sistemi interni per oltre 30 giorni. L’azienda, che non era a conoscenza della gravidanza, ha proceduto alla risoluzione del contratto per scarso rendimento e mancato adempimento delle sue funzioni.

Dopo il licenziamento, la dipendente ha sostenuto che si trattava di una misura discriminatoria legata alla gravidanza. Tuttavia, sia l’azienda che i tribunali hanno dimostrato che il licenziamento si basava esclusivamente su fatti oggettivi: una prolungata inattività senza causa né preavviso.

Cosa dice il tribunale
Il TSJ della Catalogna respinge il ricorso della lavoratrice e nega che vi sia stata discriminazione. Secondo la sentenza:

  • La gravidanza non era conosciuta dall’azienda in nessun momento del processo.

  • Il licenziamento è avvenuto per motivi disciplinari, non personali.

  • L’inadempimento contrattuale è stato chiaramente provato.

  • Non vi è stata violazione di diritti fondamentali.

Pertanto, non si può parlare di nullità per gravidanza quando il licenziamento non ha relazione con tale fatto ed è sostenuto da un comportamento oggettivamente sanzionabile.

Cosa devono tenere presente le aziende e i lavoratori
Questa sentenza ricorda una questione chiave in ambito lavorativo: la gravidanza protegge dal licenziamento ingiustificato, ma non impedisce la risoluzione del contratto quando esistono cause reali e documentate.

Per le aziende:

  • È fondamentale dimostrare qualsiasi inadempimento con prove solide, soprattutto in contesti di lavoro remoto.

  • La protezione legata alla gravidanza non esonera la lavoratrice dai suoi obblighi.

  • Documentare avvertimenti o comunicazioni precedenti rafforza la difesa in caso di eventuali reclami giudiziari.

Per le lavoratrici:

  • Essere incinta non significa essere esentate dalle responsabilità del ruolo.

  • Comunicare chiaramente la gravidanza aiuta ad attivare le misure di tutela.

  • Abbandonare i compiti senza giustificazione, anche in modalità remota, può comportare gravi conseguenze.

Conclusione
Il Tribunale Superiore di Giustizia della Catalogna ha tracciato una linea chiara: il lavoro da casa non impedisce il controllo del rendimento e la condizione di gravidanza non rende automaticamente nullo qualsiasi licenziamento. Gli obblighi lavorativi rimangono e il loro inadempimento può essere sanzionato anche se la relazione lavorativa si svolge a distanza.

WhatsApp è diventato uno strumento abituale nell’ambito lavorativo, sia per la comunicazione interna che per la gestione quotidiana dei team. Tuttavia, il suo utilizzo al di fuori dell’orario di lavoro, in modo insistente o con una chiara componente di pressione, può avere conseguenze legali. In alcuni casi, può essere considerato una forma di mobbing.

Il diritto alla disconnessione digitale
La legislazione del lavoro spagnola riconosce espressamente il diritto dei lavoratori alla disconnessione digitale al di fuori dell’orario lavorativo. Lo Statuto dei Lavoratori, insieme alla Legge Organica sulla Protezione dei Dati e Garanzia dei Diritti Digitali (LOPDGDD), stabilisce che i dipendenti non sono obbligati a rispondere a comunicazioni, né via email né tramite messaggistica istantanea, durante i periodi di riposo, ferie o permessi.

Quando un datore di lavoro insiste nel comunicare al di fuori di tale orario o si aspetta risposte immediate, può violare il diritto alla disconnessione, il che potrebbe costituire un’infrazione lavorativa e persino una condotta riconducibile al mobbing.

Comunicazione fuori orario e molestie psicologiche
L’invio sporadico di un messaggio al di fuori dell’orario non implica necessariamente mobbing. Tuttavia, quando si verifica in modo reiterato e con richiesta di risposta, può generare una situazione di pressione psicologica continuativa. Questo può rientrare nel mobbing, più precisamente in quello che è stato definito “mobbing digitale” o “mobbing tecnologico”.

Questo tipo di condotte è stato oggetto di analisi giudiziaria. In una recente sentenza, un tribunale ha dichiarato illegittimo il licenziamento di una lavoratrice che aveva espressamente chiesto al proprio datore di lavoro di non essere contattata al di fuori dell’orario lavorativo. L’azienda non ha rispettato tale richiesta, elemento chiave per il riconoscimento dell’ingiustificatezza del licenziamento.

L’uso di WhatsApp come mezzo di molestia
Oltre alla questione degli orari, WhatsApp può essere utilizzato in modo abusivo nella quotidianità lavorativa. L’invio massiccio di messaggi, la creazione di gruppi in cui si esercita pressione o si ridicolizza il lavoratore, o persino l’esclusione deliberata da comunicazioni professionali rilevanti, possono contribuire a creare un ambiente ostile.

Quando queste pratiche sono persistenti e hanno un effetto negativo sulla salute psicologica del lavoratore, possono costituire mobbing.

In questi casi, non solo si viola il diritto alla dignità sul lavoro, ma si può anche incorrere in un reato contro l’integrità morale previsto dall’articolo 173 del Codice Penale.

Implicazioni penali del mobbing tramite mezzi digitali
Il Codice Penale prevede sanzioni per coloro che, in ambito lavorativo, sottopongono altri a situazioni continuative di molestia. Quando tali condotte provengono da superiori gerarchici, risultano ancora più gravi, trattandosi di un chiaro abuso di potere.

In contesti in cui l’uso di WhatsApp diventa lo strumento principale per esercitare tale controllo o pressione indebita, può essere considerato come prova valida di mobbing.

Screenshot, registrazioni dei messaggi e cronologie delle comunicazioni sono spesso elementi chiave in questo tipo di procedimenti.

Conclusione
L’uso di WhatsApp nell’ambito lavorativo non è, di per sé, problematico. Ciò che fa la differenza è il modo in cui viene utilizzato. La mancanza di limiti, l’eccesso di controllo e la pressione costante possono trasformare uno strumento utile in uno strumento di molestia. Per questo, sia i datori di lavoro che i lavoratori devono conoscere i propri diritti e doveri, e gli avvocati devono essere pronti ad agire di fronte a qualsiasi abuso.

La Corte Suprema, nella Sentenza 571/2025 dell’11 giugno, ha dichiarato nulla una sanzione disciplinare imposta dal Consorci Sanitari Integral a un lavoratore, ritenendo che la data di esecuzione della sanzione fosse subordinata esclusivamente alla volontà del datore di lavoro. Questa decisione consolida la dottrina già stabilita in precedenti pronunce circa la necessità di rispettare i requisiti formali in materia sanzionatoria.

Antefatti di fatto
Il lavoratore interessato prestava servizio come infermiere. Nel novembre 2020, a seguito di un conflitto legato a un cambio turno e a una successiva assenza per malattia, l’azienda avviò un procedimento disciplinare. Infine, il 7 gennaio 2021, gli fu notificata la sanzione di 60 giorni di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, senza indicare una data concreta di inizio. L’unico dato temporale era che la sanzione sarebbe stata applicata “quando la direzione lo avrebbe indicato”.

Il lavoratore impugnò questa sanzione e, in primo grado, il Tribunale del Lavoro n. 25 di Barcellona respinse la domanda. Tuttavia, il Tribunale Superiore di Giustizia della Catalogna, nella sentenza del 20 marzo 2023, accolse il ricorso di appello, annullò la sentenza di primo grado e dichiarò la nullità della sanzione per violazione dei requisiti formali richiesti dall’articolo 58.2 dello Statuto dei Lavoratori.

Ricorso alla Corte Suprema
L’azienda ricorse in cassazione per l’unificazione della giurisprudenza, sostenendo una contraddizione con una sentenza del TSJ di Andalusia (Siviglia), del 14 marzo 2012, che aveva ritenuto valida una sanzione il cui adempimento era anch’esso subordinato a comunicazione futura.

Tuttavia, la Corte Suprema rigettò il ricorso e confermò la nullità della sanzione.

Fondamenti giuridici
La Corte Suprema riafferma che:

  • La sanzione disciplinare deve essere comunicata per iscritto, indicando chiaramente sia i fatti sia la data di efficacia (art. 58.2 ET).

  • È ammissibile che l’esecuzione della sanzione venga posticipata fino a quando la sanzione diventi definitiva o scada il termine per impugnarla. Tuttavia, non è valido lasciare la sua esecuzione a una decisione futura e unilaterale dell’azienda, senza alcun riferimento oggettivo.

  • Il fatto che l’azienda non abbia precisato alcun limite temporale né condizione oggettiva per l’inizio dell’esecuzione costituisce, secondo la Corte, un grave difetto nei requisiti formali, che giustifica la nullità della sanzione conformemente all’articolo 115.1.d) della Legge Regolatrice della Giurisdizione Sociale (LRJS).

L’azienda ha tentato di introdurre, in fase di ricorso, una nuova prova dichiarando che la sanzione sarebbe stata effettiva dopo la definitività della decisione. La Corte ha rigettato tale introduzione per mancata documentazione probatoria.

Conclusione
Questa sentenza sottolinea l’importanza di rispettare scrupolosamente i requisiti formali nei procedimenti disciplinari. La Corte Suprema chiarisce che un’azienda non può imporre sanzioni aperte o indeterminate nella loro esecuzione e che l’indeterminatezza o arbitrarietà nella data di esecuzione annulla la validità della misura.

Ti hanno imposto una sanzione senza una data chiara di esecuzione o ritieni che i tuoi diritti lavorativi siano stati violati? Il nostro team di esperti in diritto del lavoro può aiutarti ad analizzare il tuo caso e a reclamare ciò che ti spetta. Contattaci per una consulenza.

Cosa succede se il mio giorno di riposo coincide con un giorno festivo? La Corte Suprema lo chiarisce
Molte persone si pongono questa domanda quando controllano il proprio calendario lavorativo:
Cosa succede se il mio giorno libero cade proprio in un giorno festivo? Perdo quel festivo? Devo essere compensato?

La risposta è chiara: se il tuo riposo settimanale coincide con un giorno festivo, l’azienda deve concederti un altro giorno di riposo. Lo ha stabilito la Corte Suprema nella recente Sentenza 997/2024, del 9 luglio.

Il caso reale che ha cambiato tutto
La Federazione dei Servizi di CCOO ha denunciato che l’azienda Espasa Calpe S.A. (proprietaria di librerie come La Casa del Libro) non compensava i propri dipendenti quando il riposo settimanale coincideva con uno dei quattordici giorni festivi ufficiali dell’anno. Cioè, se il lavoratore riposava la domenica e quella domenica era festiva, veniva considerato semplicemente come un solo giorno libero.

L’azienda sosteneva di rispettare già il contratto collettivo, che prevede un minimo di cinque fine settimana liberi all’anno, e che non fosse necessario compensare questa sovrapposizione.

Ma la Corte Suprema non è stata d’accordo.

Cosa dice esattamente la sentenza?
La Corte Suprema ha chiarito che:

  • Il riposo settimanale e i giorni festivi sono diritti indipendenti.

  • Se un festivo coincide con il giorno di riposo settimanale, il lavoratore ha diritto ad essere compensato con un altro giorno libero.

  • Non compensare questa sovrapposizione è contrario all’ordinamento giuridico, sia allo Statuto dei Lavoratori che alla normativa europea.

A chi si applica?
Questa sentenza riguarda qualsiasi lavoratore, in particolare chi:

  • Lavora in settori che restano aperti nei fine settimana o nei festivi.

  • Ha turni o orari variabili.

  • Non ha giorni di riposo fissi ogni settimana.

La Corte Suprema chiarisce che non è necessario lavorare a turni rotativi per avere diritto alla compensazione. Basta non riposare sempre negli stessi giorni della settimana o avere un orario che include festivi.

Cosa possono fare i lavoratori?
Se ti sei trovato in questa situazione, puoi:

E le aziende?
Le aziende devono rivedere i propri turni e garantire che i riposi vengano rispettati. Se la sovrapposizione non viene compensata, potrebbero affrontare:

  • Reclami individuali o conflitti collettivi.

  • Interventi dell’Ispettorato del Lavoro.

  • Sentenze sfavorevoli che obblighino a modificare le pratiche interne.

Conclusione
Se il tuo giorno di riposo coincide con un festivo, non dovresti perdere quel giorno. Hai diritto a essere compensato. Il riposo settimanale e i festivi non si sostituiscono tra loro. Questa sentenza della Corte Suprema lo conferma e stabilisce una linea guida chiara per aziende e lavoratori.

Se hai dubbi o hai bisogno di orientamento legale, contattaci.

Il Tribunale Superiore di Giustizia della Galizia (TSXG) ha recentemente condannato un’azienda per non aver rispettato il diritto alla disconnessione digitale di una lavoratrice che si trovava in congedo medico. La sentenza rafforza un principio chiave nell’ambito delle relazioni lavorative moderne: il rispetto del tempo di riposo e della salute mentale dei dipendenti.

Cos’è il diritto alla disconnessione digitale?
Dall’entrata in vigore della Legge Organica 3/2018, sulla Protezione dei Dati Personali e garanzia dei diritti digitali, viene espressamente riconosciuto il diritto dei lavoratori alla disconnessione digitale al di fuori dell’orario lavorativo. Il suo obiettivo è garantire il tempo di riposo, permessi e ferie, nonché preservare la privacy personale e familiare.

Questo diritto è inoltre riflesso nell’articolo 20 bis dello Statuto dei Lavoratori, e obbliga le aziende a stabilire politiche interne che regolino l’uso dei dispositivi digitali e delle comunicazioni al di fuori dell’orario di lavoro.

Il caso: contatto continuato durante un congedo medico
La lavoratrice interessata era in malattia per un disturbo d’ansia. Nonostante ciò, ha continuato a ricevere email di carattere lavorativo in modo reiterato. Sebbene non abbia risposto ai messaggi, il tribunale ha concluso che tale pratica rappresentava una pressione indebita e una chiara violazione del diritto alla disconnessione digitale.

Oltre alla violazione normativa, il TSXG ha ritenuto che si fosse verificata una lesione del diritto fondamentale all’integrità morale, particolarmente grave data la situazione medica della lavoratrice. Per tutto ciò, l’azienda è stata condannata a versare un’indennità di 1.500 euro a titolo di danni morali.

Rilevanza della sentenza
Questa decisione giudiziaria si distingue per vari motivi:

  • Conferma che l’invio di comunicazioni lavorative al di fuori dell’orario, anche se non vengono risposte, può costituire una violazione del diritto alla disconnessione.

  • Ribadisce l’obbligo per le aziende di stabilire e rispettare politiche interne riguardo al contatto digitale.

  • Collega la violazione con l’incidenza sui diritti fondamentali, aprendo la porta a possibili richieste di risarcimento per danni morali.

Raccomandazioni per le aziende
Dal punto di vista legale, è imprescindibile che le organizzazioni adottino misure preventive adeguate, come ad esempio:

  • Elaborare protocolli chiari sull’uso degli strumenti digitali fuori dall’orario lavorativo.

  • Sensibilizzare dirigenti e quadri sui limiti della comunicazione con il personale.

  • Prestare particolare attenzione in situazioni speciali, come congedi medici o processi di inabilità temporanea.

  • Documentare l’esistenza e l’applicazione di tali politiche, come elemento di difesa in caso di possibili reclami.

Sei un lavoratore o un’azienda e hai dei dubbi?
Nel nostro studio siamo specialisti in diritto del lavoro e tutela dei diritti digitali. Se come lavoratore hai ricevuto pressioni al di fuori del tuo orario, o se come azienda hai bisogno di consulenza per implementare protocolli di disconnessione, possiamo aiutarti.

Contattaci per una consulenza personalizzata e confidenziale.

La STS Aragón 437/2024 del 3 giugno 2024 dichiara, sorprendentemente, illegittimo il licenziamento disciplinare di un cameriere che si era assentato per tre giorni consecutivi dal posto di lavoro.
Il lavoratore, che svolgeva la sua attività come cameriere e risiedeva a 15 km dal luogo di lavoro, aveva comunicato il 5 novembre che il suo veicolo si trovava in officina e che, a causa dell’elevato costo del taxi, non poteva recarsi all’hotel, che era il suo luogo di lavoro.
Il 16 novembre 2022, il lavoratore ricevette una comunicazione via raccomandata in cui veniva informato della cessazione del rapporto di lavoro con effetto dal 9 novembre 2022, a causa della sua assenza nei giorni 7, 8 e 9 dello stesso mese.
In primo grado, il licenziamento fu dichiarato legittimo con effetto dal 9 novembre 2022. Tuttavia, nel ricorso, il Tribunale Superiore di Giustizia dell’Aragona dichiarò il licenziamento illegittimo, offrendo al datore di lavoro la possibilità di reintegrare il lavoratore o corrispondere l’indennità legale prevista.

IMPOSSIBILITÀ DI RECARSI AL LAVORO
In questo caso, il Tribunale Superiore di Giustizia dell’Aragona sostiene che il comportamento del lavoratore non raggiunge il livello di gravità necessario a giustificare un licenziamento disciplinare, poiché aveva preventivamente informato della propria impossibilità di recarsi al lavoro per cause a lui non imputabili.
Sebbene l’azienda non fosse obbligata a fornirgli un mezzo di trasporto, non ha valutato adeguatamente la situazione del lavoratore. Invece di optare per il licenziamento, l’azienda avrebbe potuto adottare una misura più “flessibile”, come la sospensione dal lavoro e dallo stipendio.

Il Tribunale, inoltre, ritiene che l’azienda abbia violato l’articolo 7 della Convenzione 158 dell’OIL, che stabilisce l’obbligo di un’audienza preliminare, nella quale il lavoratore avrebbe potuto fornire le sue spiegazioni.
Licenziamento Disciplinare per Assenze Ingiustificate dal lavoro
La maggior parte dei contratti collettivi in Spagna considera che tre assenze ingiustificate possano costituire motivo di licenziamento disciplinare.

Tuttavia, è fondamentale ricordare che, prima di comunicare il licenziamento, l’azienda deve convocare il lavoratore a un’audizione preliminare, nella quale egli possa presentare le proprie motivazioni.

Questa procedura è regolata dall’articolo 7 della Convenzione 158 dell’OIL.
Inoltre, è cruciale considerare la gravità dei fatti applicando il principio di proporzionalità, che richiede una corrispondenza adeguata tra l’infrazione commessa e la sanzione imposta, evitando misure non necessarie o sproporzionate. Anche l’uguaglianza nell’applicazione della legge è un concetto chiave da tenere in considerazione nella procedura di un licenziamento disciplinare.

Infatti, la Corte Suprema ha sottolineato che casi simili devono essere trattati in modo coerente, assicurando che non vi siano disparità nelle decisioni giudiziarie in merito ai licenziamenti in circostanze comparabili.

Conclusioni

E inoltre bisogna tener conto della gravità dei fatti: ovvero, il Giudice o il Tribunale applicherà il principio di proporzionalità per valutare se i fatti siano sufficientemente gravi da giustificare la rottura del rapporto di lavoro.
La Corte Suprema ha enfatizzato che i casi simili devono essere trattati in modo coerente, per garantire che non ci siano differenze nelle decisioni giudiziarie sul licenziamento in circostanze analoghe.

Licenziamento illegittimo per aver bevuto birra sul posto di lavoro

Il Tribunale Superiore di Giustizia di Madrid (STSJ Comunidad de Madrid 594/2024) ha confermato la illegittimità del licenziamento di una dipendente di un supermercato che è stata licenziata il 29 giugno 2023 dopo aver consumato una lattina di birra da 50 cl durante la pausa.

L’azienda ha giustificato la decisione sostenendo che tale comportamento costituisse una mancanza grave, oltre a richiamare un’ammonizione precedente. Tuttavia, il Tribunale del Lavoro n. 7 di Madrid ha concluso che la società non ha dimostrato che il consumo di alcol avesse influito sulla produttività della dipendente o rappresentasse un rischio per l’attività lavorativa.

Di conseguenza, il licenziamento è stato dichiarato illegittimo, e l’azienda è stata condannata a reintegrare la lavoratrice o a risarcirla con 55.245,13 €.

Nonostante l’azienda abbia fatto ricorso, la Sezione Lavoro ha confermato il giudizio, sottolineando l’importanza di valutare la proporzionalità e la gravità della mancanza in ogni singolo caso.

Bere alcolici durante il lavoro è sempre motivo di licenziamento legittimo?

Il fatto che un lavoratore consumi alcolici durante l’orario di lavoro o la pausa non implica automaticamente che il suo licenziamento sia legittimo. Ciò che conta è se tale consumo compromette la capacità di svolgere le proprie mansioni in modo sicuro ed efficiente.

Le aziende possono stabilire norme interne sul consumo di alcol, alcune con politica di tolleranza zero, mentre altre possono essere più flessibili a seconda del settore e della cultura organizzativa.

In settori in cui la sicurezza è cruciale — come la conduzione di macchinari pesanti, la guida di veicoli o l’assistenza sanitaria — il consumo di alcol è generalmente considerato una mancanza molto grave, per il rischio che comporta per il lavoratore e per terzi.

L’articolo 54.f dello Statuto dei Lavoratori stabilisce che “l’ubriachezza abituale o la tossicodipendenza” possono costituire motivo di licenziamento disciplinare, ma solo se incidono negativamente sull’attività lavorativa. Questo significa che, se un lavoratore beve alcolici durante la pausa senza che vi siano prove di un impatto sul rendimento o su situazioni di pericolo, il licenziamento potrebbe essere dichiarato illegittimo.

Diversi tribunali hanno confermato che il consumo occasionale di alcol, in assenza di danni comprovati per l’azienda o per la sicurezza, non giustifica un licenziamento disciplinare.

Conclusioni:

La legittimità del consumo di alcol durante l’orario di lavoro o la pausa dipende da vari fattori. Non è la stessa cosa un lavoratore che beve una birra durante la pausa e continua a svolgere le proprie mansioni normalmente, rispetto a un altro la cui condotta comprometta la produttività o la sicurezza.

È fondamentale che l’azienda abbia informato e concordato una politica specifica o un accordo contrattuale con il lavoratore: un’intesa chiara può influenzare in modo determinante l’esito di una eventuale controversia giudiziaria.

Le aziende, quindi, prima di procedere al licenziamento, devono valutare caso per caso se la decisione sia proporzionata o se sia più ragionevole infliggere una sanzione anziché il licenziamento, tenendo conto della pericolosità del comportamento e delle norme interne concordate.

Nella sua recente sentenza STSJ Canarias 837/2024, la Sezione Lavoro del Tribunale Superiore di Giustizia delle Canarie (TSJC) ha analizzato la legittimità del licenziamento disciplinare di un dipendente di WORTEN CANARIAS, S.L., che ha trasferito 3.890 euro a truffatori che si erano spacciati per il suo superiore.

La frode: una truffa telefonica ben eseguita

Secondo la sentenza, il dipendente ha ricevuto una telefonata da un presunto responsabile dell’azienda in Portogallo, che gli ha chiesto di effettuare un pagamento urgente per completare la consegna di un ordine. Il lavoratore ha quindi attivato 85 carte di ricarica Google Play e Amazon, inviando i codici ai truffatori senza verificare l’autenticità dell’istruzione. Come prevedibile, le carte sono state utilizzate immediatamente, causando una perdita economica significativa per l’azienda.

Responsabilità e perdita di fiducia

Il TSJC ha sottolineato che, data la posizione di responsabilità del lavoratore, ci si aspettava un comportamento più diligente. Il mancato rispetto dei protocolli interni ha compromesso la fiducia dell’azienda, giustificando il suo licenziamento disciplinare legittimo.

“Questa sentenza è rilevante nel contesto dell’aumento delle truffe telefoniche in vari settori. Oltre al danno economico, ciò che viene sanzionato è la negligenza grave del lavoratore. Se avesse seguito i protocolli interni e consultato i superiori, la frode sarebbe stata evitata. La perdita di fiducia è un elemento chiave in questi casi.”

Licenziamento legittimo per malafede contrattuale

In prima istanza, il licenziamento era stato qualificato come illegittimo. Tuttavia, il TSJC ha revocato tale decisione in sede di reclamo, ritenendo che la condotta del lavoratore costituisse una mancanza molto grave, giustificando così il licenziamento disciplinare legittimo.

Questo caso sottolinea l’importanza della diligenza nel rispetto dei protocolli aziendali e evidenzia le implicazioni legali derivanti dalla perdita di fiducia in ambito lavorativo.

Che cos’è la buona fede contrattuale?

La fiducia è un pilastro fondamentale nelle relazioni di lavoro, strettamente legato al principio di buona fede. Un ambiente di lavoro basato sulla fiducia permette ai dipendenti di sentirsi sicuri nell’esprimere idee, assumersi rischi e collaborare efficacemente, rafforzando le relazioni tra dirigenti e team. Questa dinamica favorisce il coinvolgimento, la lealtà e un clima lavorativo positivo.

Tuttavia, quando la fiducia è compromessa da una violazione della buona fede contrattuale o da un abuso di fiducia, possono sorgere conflitti che giustifichino anche un licenziamento disciplinare.

La buona fede nel contratto di lavoro: quadro normativo in Spagna

Il principio di buona fede contrattuale è riconosciuto nell’ordinamento giuridico spagnolo e menzionato espressamente nello Statuto dei Lavoratori:

  • Articolo 5.a): stabilisce come dovere fondamentale del lavoratore “adempiere alle obbligazioni specifiche del proprio ruolo, in conformità alle regole di buona fede e diligenza”.
  • Articolo 20.2: obbliga sia il lavoratore sia il datore di lavoro a adempiere reciprocamente le proprie prestazioni in conformità alle esigenze di buona fede.
  • Articolo 54.2.d): considera la violazione della buona fede contrattuale come causa di licenziamento disciplinare, purché si tratti di un inadempimento grave e colpevole.

Nella pratica, la perdita di fiducia da parte del datore di lavoro può comportare sanzioni o la risoluzione del contratto, soprattutto nei casi in cui il lavoratore ricopra ruoli chiave nell’organizzazione.

È importante che il datore di lavoro definisca obbligazioni specifiche affinché il lavoratore sia informato sui propri doveri, in conformità all’articolo 5 dello Statuto dei Lavoratori che afferma “adempiere alle obbligazioni specifiche del proprio ruolo, in conformità alle regole di buona fede e diligenza.”

L’azienda può licenziarmi per malafede contrattuale?

Perché l’azienda possa recedere dal contratto di lavoro per violazione della buona fede contrattuale devono verificarsi le seguenti condizioni:

  1. Inadempimento grave e colpevole: il comportamento del lavoratore deve essere qualificato come grave e realizzato con intenzione o negligenza significativa, come previsto dall’articolo 54.2 dello Statuto dei Lavoratori.
  2. Dimostrazione da parte del datore di lavoro: è responsabilità dell’azienda provare che il lavoratore abbia commesso un atto che violi la buona fede contrattuale, come frode, slealtà, abuso di fiducia o concorrenza sleale.
  3. Proporzionalità: la sanzione deve essere proporzionata all’infrazione commessa. Non è sufficiente una semplice violazione; deve esservi un impatto significativo sul rapporto di lavoro o sugli interessi aziendali.
  4. Circostanze specifiche: i tribunali valutano ogni caso considerando fattori quali l’anzianità del lavoratore, la sua posizione gerarchica, le conseguenze delle sue azioni e l’eventuale intenzionalità.